INTERVISTA: Alessio Leonardi, Lion&Bee, Berlino, 10 Gennaio 2011



Alessio Leonardi è un grafico e type designer che vive dal 1990 a Berlino. Ha frequentato il corso di progettazione grafica all’ISIA di Urbino laureandosi nel 1990. Ha lavorato presso MetaDesign con Erik Spiekermann e poi è stato (fino al 2005) uno dei due proprietari del Design Studio Leonardi.Wollein a Berlino. Nel 2008 collabora con lo studio Fuenfwerke di Berlino progettando il carattere per la campagna “beBerlin” sull’identità della città. Dal 2010 insegna Visual Communication and Illustration all’Università di Arti e Scienze applicate di Hildesheim in Germania. Oggi lui e sua moglie dirigono il Leon&Bee Studio.


Quali sono stati i suoi studi e che percorso l’ha portata ad essere il grafico che è oggi?


Ho studiato comunicazione visiva all’ISIA di Urbino, influenzato in maniera rilevante da Michele Provinciali, grande Uomo dell’immagine, ma sono diventato designer quasi per caso. Ho sempre sognato di diventare archeologo. Un passaggio importante è stato il lavoro con Erik Spiekermann presso MetaDesign. Qui mi sono reso veramente conto di cosa avevo studiato e perché.
Non lavora nel paese dov’è nato, è stata la ricerca di una qualità di vita migliore o semplicemente una casualità che l’ha portata fino a Berlino in Germania?
Un po’ tutto ciò insieme.

Nota delle differenze nei metodi di progettazione della comunicazione visiva tra il suo paese di origine e quello dove lavora attualmente? Se sì, in quali aree le rileva maggiormente?

La mia esperienza di lavoro in Italia è limitata a pochi progetti che ho fatto dall’estero e alle informazioni scambiate con amici e colleghi. Ci si vede alle conferenze e si raccontano le proprie vicessitudini. In linea di massima non vedo grandi differenze nel metodo progettuale, piuttosto nella ricezione e accettazione del nostro lavoro da parte della committenza. Ho l’impressione che in Italia il design grafico venga tenuto molto meno in considerazione del design industriale. Dipende probabilmente dalla struttura dell’economia, ma è sicuramente anche un problema culturale.

I suoi studi accademici nel campo della comunicazione visiva dello spazio pubblico sono stati sufficienti o ha dovuto approfondire l’argomento con delle ricerche personali? Se sì come e in quali ambiti si sono svolte?


Le conoscenze specifiche le ho acquisite sul campo, per così dire, ma non è stato un problema. La cosa fondamentale è avere un metodo progettuale, non le ricette per ogni tipo di lavoro grafico. Per esprimere l’idea in immagini: bisogna saper cucinare, non eseguire una serie di operazioni predeterminate da una ricetta. I problemi che il designer deve risolvere sono complessi e variegati. Bisogna saper essere flessibili.

Quando le è stato richiesto di progettare la comunicazione visiva per uno spazio pubblico si è sentito preparato ed ha realizzato il progetto individualmente, in gruppo o al fianco di altre figure?

Nella mia folle incoscienza giovanile mi sono sentito naturalmente preparato, quasi predestinato. Fortunatamente ho avuto la possibilità di lavorare insieme a persone molto più esperte di me e di grande apertura mentale. A volte l’inesperienza aiuta a vedere i problemi da punti di vista che gli esperti non tengono in considerazione.

Col tempo ha acquisito un metodo di analisi e progettazione ottimale che applica nei progetti di comunicazione visiva nello spazio pubblico? In grandi linee può descriverne il processo con alcuni esempi?

Se i progetti hanno dimensioni rilevanti, si lavora in gruppo. Le analisi sociali, economiche e di marketing vengono fatte da specialisti. A volte è il cliente che si preoccupa di fornire i dati e le informazioni necessarie già in fase di concorso e di briefing. Come designer il mio compito è quello di capire queste informazioni e non quello di rilevarle. Ogni progetto si svolge in maniera diversa, è difficile generalizzare. A volte, specie nei concorsi, ci si lascia guidare dall’intuito. Altre volte si inizia leggendo libri su libri, intervistando le persone per la strada, certamente una cosa è sicura: la perfezione non esiste, neanche in Germania.
Vista l’evoluzione delle forme di comunicazione, grazie alle tecnologie, ai materiali e ai processi di realizzazione, anche la figura del designer deve tenersi aggiornata.
Essere competente in aree differenti e in altre discipline.

Pensa si debba rivedere la formazione del designer istituendo facoltà universitarie che uniscano discipline differenti, al fine di formare una nuova figura professionale?
Oppure pensa che includendo collaboratori professionisti, di altre discipline, non previsti nel team degli studi grafici, migliori la qualità del progetto?


Come docente universitario posso parlare della mia esperienza. L’idea dell’interdisciplinarità è diffusa in molte facoltà, la parola la usano tutti. La difficoltà è a livello pratico, quella di far confluire gli interessi delle singole discipline in una forma di studio veramente aperta e priva di confini artificiali. A Hildesheim lavoro ogni semestre con un collega diverso ad un progetto interdisciplinare. Questo aiuta molto gli studenti a vedere oltre il loro settore preferito, a capire come lavorano i colleghi e a pensare al design in maniera più ampia. Qui ritorno al mio chiodo fisso: è una questione di metodo, non di tecnica. La tecnica evolve, i programmi sul computer cambiano, nascono nuovi media, un designer che ha un metodo progettuale valido sarà sempre in grado di affrontare nuovi problemi e nuove sfide.

In conclusione, vista la responsabilità del designer, la funzione del suo lavoro e le potenzialità di ciò che realizza, quali riflessioni ritiene vadano fatte sul ruolo e sul metodo di progettazione del designer?

Per me il designer deve essere una persona curiosa, aperta al nuovo, ma con un grande interesse per il passato. Per sapere dove andiamo, dobbiamo sapere da dove veniamo. Riguardo ai problemi di comunicazione deve avere un approccio più strutturale che estetico, deve sapere analizzare piuttosto che decorare. Ciò non esclude, anzi, in fondo richiede anche una grande capacità di emozionalizzare un progetto. È come fare un tessuto: il disegno esiste solo se si hanno trama e ordito.



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