INTERVISTA: Rodrigo Fonseca, studio F33, Murcia, 3 dicembre 2010



F33 è un’agenzia di progettazione grafica e pubblicità nata a Murcia dal 2006. Lo studio è formato da sette persone, che hanno visto avvalorata la loro creatività con il conseguimento di diversi premi, in concorsi di design e pubblicità, sia nazionali (Laus, Select, CDEC, Daniel Gil) che internazionali (Premio Leone d’Oro a Cannes). Lo studio ha conquistato la fiducia di diversi clienti istituzionali nonostante lo stile creativo-informale e provocatorio che rispecchiano i suoi progetti. Rodrigo Fonseca ha co-diretto molti progetti di comunicazione visiva negli spazi pubblici.


Quali sono stati i suoi studi e che percorso l’ha portata ad essere il grafico che è oggi?

Ho frequentato il corso di design e comunicazione all’Università di Arti a Coimbra (ARCA-EUAC) in Portogallo. La base di quanto ho appreso è stata principalmente teorica, grazie a questa ho imparato a mettere sempre in discussione il lavoro prima di iniziare a pianificare qualsiasi cosa. Il lavoro teorico di ricerca, prima della pratica è importante. In realtà non mi sono reso conto delle lacune che avevo finché non sono entrato nel mondo del lavoro. I primi anni di lavoro furono tanto importanti quanto quelli della mia carriera scolastica. Il lavoro teorico si scontra inevitabilmente con quello pratico, ma è l’unione di entrambi che garantisce un buon lavoro. E’ la flessibilità, la lotta, quella che genera un lavoro in accordo con le necessità che si presentano di volta in volta.
Bisogna mantenere due visioni: la capacità di vedere fin dove vogliamo sperimentare con la comunicazione e sapere come metterla in pratica.

Non lavora nel paese dov’è nato, è stata la ricerca di una qualità di vita migliore o semplicemente una casualità che l’ha portata fin qui in Spagna, a Murcia?

In realtà lavoro in una città della quale non avevo mai sentito parlare prima. Sono dieci anni che vivo qui. È stata la casualità a portarmi a Murcia, che continua a trasformarsi, affermandosi come punto di riferimento per la grafica spagnola. Sono stato fortunato ad arrivare nel momento in cui iniziava questo processo. Si producono buoni progetti e c’è molta competitività creativa tra gli studi di grafica presenti. Mi piace pensare di essere approdato a Murcia per un mese con una valigia ed esserci rimasto dieci anni. Spero di continuare a lavorare qui per altri anni.

Nota delle differenze nei metodi di progettazione della comunicazione visiva tra il suo paese di origine e quello dove lavora attualmente?
Se sì, in quali aree le rileva maggiormente?


Sì, credo che la differenza principale tra la Spagna ed il Portogallo sia una questione di stile di vita, culturale. In Portogallo c’è più tempo per sviluppare il lavoro, e ciò permette di ragionare di più sul progetto. In Spagna tutto è più ristretto in termini di tempo, ma accetto le diverse forme di lavorare. Avere tempo può divorare e terminare divagando su questioni che realmente non sono importanti, mentre la mancanza di tempo può far sì che la qualità del lavoro finale non sia perfetta. Però credo che tutti dobbiamo incontrare un “punto medio”. A me, lavorare nei due paesi è servito a valutare quello che posso applicare in ogni processo di lavoro e soprattutto mi ha insegnato a organizzare me stesso.

I suoi studi accademici nel campo della comunicazione visiva dello spazio pubblico sono stati sufficienti o ha dovuto approfondire l’argomento con delle ricerche personali? Se sì come e in quali ambiti si sono svolte?

Non avevo una formazione specifica, e credo che nessuno ce l’abbia quando esce dall’università. Bisogna conservare dentro di noi la voglia costante di ricercare e apprendere nuove cose. Fare riferimento ad altri progetti ben risolti, parlare con persone di altre aree che hanno opinioni diverse dalla nostra, può essere d’aiuto. Quando si progetta la segnaletica per uno spazio pubblico non ci si può chiudere nel proprio ego di grafico. Dovremmo ricavare dei contributi anche dai lavori degli studi più umili per portare un progetto a buon fine. Non si può mai essere maestri, bisogna sempre imparare, perché il mondo cambia molto rapidamente e le persone che usano i suoi spazi cambiano con lui. La segnaletica che si progetta oggi non è eterna, ha un periodo di vita molto corto. Sono sicuro che cambierei molte cose dei lavori fatti, in questo momento.

Quando le è stato richiesto di progettare la comunicazione visiva per uno spazio pubblico si è sentito preparato ed ha realizzato il progetto individualmente, in gruppo o al fianco di altre figure?

Come già ho detto prima, non si può mai essere maestri, ma sempre apprendisti. Bisogna affrontare i progetti come designer, ma si ha sempre bisogno dell’aiuto di un collega e di chi andrà ad eseguire il lavoro. In definitiva si ha bisogno di un gruppo di lavoro, di informare ed essere informati. Se si pensa di poter fare tutto da soli si fallisce. Ogni persona deve dedicarsi a quello che sa, solo così il lavoro fluirà alla perfezione.

Col tempo ha acquisito un metodo di analisi e progettazione ottimale che applica nei progetti di comunicazione visiva nello spazio pubblico? In grandi linee può descriverne il processo con alcuni esempi?

Sì. C’è un processo che abbiamo adottato naturalmente. Parliamo prima col cliente e visitiamo l’area, dopotutto il cliente è quello che la vive tutti i giorni, ci parlerà delle sue inquietudini e di come dovranno fluire le infomazioni in quello spazio. Infine raggruppiamo tutti i dati utili, foto, planimetrie e quant’altro, li analizziamo e mettiamo in primo piano le questioni che ci preoccupano di più. Torniamo sullo spazio sul quale stiamo lavorando con queste problematiche, portando con noi un’idea che funzioni per il progetto e i materiali che pensiamo di usare. Ritornano sulla scrivania e poi allo spazio, di nuovo alla scrivania e di nuovo allo spazio… (continua ridendo) bisogna viverlo e percorrerlo fino agli angoli più nascosti. Quando saremo pregni di informazioni, allora possiamo iniziare. Si mettono in pratica le idee, si trova il materiale, si fanno prove. Si presenta il progetto al cliente con il preventivo, si discute e si torna diverse volte alla scrivania, all’inizio è un ciclo continuo ma è preferibile che quando si arriva all’esecuzione finale tutti i cavi siano collegati.

Vista l’evoluzione delle forme di comunicazione grazie alle tecnologie, ai materiali e ai processi di realizzazione, anche la figura del designer deve tenersi aggiornata, essere competente in aree differenti e in altre discipline.
Pensa si debba rivedere la formazione del designer istituendo facoltà universitarie che uniscano discipline differenti, al fine di formare una nuova figura professionale? Oppure pensa che includendo collaboratori professionisti, di altre discipline, non previsti nel team degli studi grafici, migliori la qualità del progetto?


No. Penso che il designer deve essere designer. Deve fare quello che fa meglio, comunicare. Sì, deve avere un’idea ed essere aggiornato nelle differenti aree che lo occupano, però dev’essere informato da professionisti di quelle aree. Questi meglio di chiunque altro possono portare il lavoro fin dove lo si voleva far arrivare. Credo che si dovrebbero dare lezioni di dialogo nelle università per imparare ad ascoltare. Non si può sapere tutto. Bisogna perciò costruire un gruppo di lavoro con il quale poter parlare, esporre e apprendere anche di aree delle quali non si è esperti.

In conclusione, vista la responsabilità del designer, la funzione del suo lavoro e le potenzialità di ciò che realizza, quali riflessioni ritiene vadano fatte sul ruolo e sul metodo di progettazione del designer?

Si deve tener conto del fatto che non siamo noi a produrre il lavoro finale. Se non si parla con professionisti di altre aree, se non si ascolta, tutto quello che si è progettato può realizzarsi al contrario. È necessario ricordare che il nostro compito è quello di verificare che il proprio lavoro sia riflesso in quello degli altri.
Circondarsi di una buona squadra, non esitare a chiedere, non essere riluttanti ad ascoltare. Terminando con una mia riflessione: “io non so tutto, mi piacerebbe, ma non può essere”. Se voglio essere un buon designer, devo concentrarmi sul design. Non posso essere un architetto, pittore, o altro... tutti allo stesso tempo.
Fare e lasciar fare. Parlare ma anche ascoltare. Prima di tutto ascoltare.






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