Il termine “grafica di pubblica utilità” nasce da un gruppo di grafici e designers italiani, stilisticamente eterogeneo, che prestarono la propria professionalità ad amministrazioni pubbliche e partiti politici tra il 1971 ed il 1989. Operativi in tutta Italia, erano accomunati dalla ricerca di una nuova forma di comunicazione, di messaggi dal contenuto politico e sociale, dal rifiuto delle retoriche persuasive tipiche della pubblicità commerciale, dall’elaborazione di linguaggi visivi semplici e diretti. La nascita del movimento, del quale Giovanni Anceschi divenne teorico ufficiale, è stata agevolata dalle nuove possibilità della legge sul decentramento amministrativo, che conferiva maggiore autonomia agli enti locali. Crescevano, in quel momento storico in Italia, il desiderio di un più ampio coinvolgimento popolare nelle decisioni politiche e la necessità di comunicare ai cittadini i progetti di amministrazione delle città. Tutto ciò richiedeva una riflessione strutturata sui linguaggi della comunicazione visiva diretta alla cittadinanza e all’informazione di valore sociale, spostando così l’attenzione prestata fino ad allora solo alla vendita di merci. Una data importante è il 1975, anno in cui in molte città d’Italia furono elette amministrazioni di sinistra (Milano,Venezia, Roma, Firenze, Napoli, Torino ed altre città minori), anche se già nel 1971 Massimo Dolcini, col Comune di Pesaro, segnò la prima sperimentazione pilota di collaborazione tra le istituzioni e la grafica.
Le riflessioni teoriche cominciate nel 1979, durante un seminario organizzato allo IUAV di Venezia (fra i partecipanti Giovanni Anceschi e Massimo Dolcini), si svilupparono attraverso una serie di mostre e convegni fino alla costituzione della Prima Biennale della Grafica a Cattolica nel 1984. L’’ultimo atto significativo della stagione della grafica pubblica è stata la redazione della Carta del Progetto Grafico, promotori Anceschi, Baule e Torri, pubblicata ad Aosta (presso Franco Balan) nel 1989. Le esperienze di grafica di pubblica utilità più strutturate si svolsero in città di provincia o comunque di media grandezza: i Graphiti a Firenze, Franco Balan ad Aosta, Elisabetta Ognibene a Modena, Mario Cresci a Matera, Massimo Casamenti a Ravenna, Massimo Dolcini a Pesaro. Quest’ultimo ha ricoperto un ruolo guida all’interno del movimento per essere stato il primo ad instaurare, in maniera strutturata e continuativa, un rapporto di collaborazione con l’amministrazione comunale della sua città. Attraverso i suoi manifesti dal segno riconoscibile, affissi quotidianamente sui muri cittadini per vent’anni, la cittadinanza era informata capillarmente di ogni evento di rilevanza sociale, politica, culturale, urbanistica, sanitaria, ecc…. L’istituzione pubblica veniva così ad identificarsi in toto con la formula visiva grafica “dolciniana”, attraverso cui si instaurava un più profondo rapporto con i cittadini; “la pratica del ‘coinvolgimento dialettico’ tra grafico e committente vedeva l’intervento diretto di Dolcini nel merito dei messaggi che avrebbe visivamente veicolato, determinando una condizione di simbiosi unica ed esemplare. Andrea Rauch scrive a proposito dell’esperienza pesarese: “Qualità estetica, chiarezza comunicativa e coinvolgimento sociale diventano i poli di questo processo. È un dialogo etico che coinvolge l’amministrazione, i gestori della funzione comunicativa e il progettista. Un confronto dialettico democraticamente corretto, ma anche una precisa esigenza tecnica. L’azione progettuale di Dolcini è molto meditata”.
Una precoce teorizzazione della grafica di pubblica utilità si deve ad Albe Steiner, che di Dolcini fu maestro negli anni tra il 1967-’69 presso il Corso Superiore di Arte Grafica di Urbino.
Proprio all’ISIA di Urbino, il 10 e 11 Giugno 2005 ebbe luogo il convegno nazionale sul tema “Comunicazione per tutti. La grafica di Pubblica Utilità”, tra i curatori troviamo Massimo Dolcini, si annunciava l’evento con questo breve testo:
- Nell’arco di un ventennio che, indicativamente, va dalla fine degli anni Sessanta, con le esercitazioni avviate ad Urbino, con gli studenti del Corso superiore di Arti grafiche, da Albe Steiner – alla fine degli anni Ottanta, con la redazione della Carta del Progetto grafico, la grafica italiana e buona parte di quella europea hanno cercato di immaginare e di rendere operativa una modalità della progettazione attenta alla propria funzione sociale, di comunicazione e di informazione relative alle nuove relazioni che si stringono tra città e territorio, definendo un originale contesto antropologico. Se la spinta del boom economico si viene esaurendo, l’Italian Style prende corpo, cresce il bisogno di informazione e di partecipazione, si entra nell’era televisiva e la cultura giovanile muta di segno (si internazionalizza, spinge verso forme radicali di autonomia, comincia ad essere un nuovo soggetto di consumo), si modificano i costumi ed i modi di trascorrere il tempo libero. Per la prima volta nell’“età degli imperi” gli influssi culturali cominciano sistematicamente a provenire dal basso, dalla galassia delle culture popolari. A questa profonda “rivoluzione culturale” si rivolge la grafica di “pubblica utilità”, la “grafica utile” che ricerca una nuova relazione comunicativa tra cittadino e istituzioni, tra individuo e contesto urbano, tra soggetto e funzioni attraverso le quali la vita civile si manifesta. Di questo movimento progettuale che vuole essere anche movimento di pensiero, relazione culturale che si realizza attraverso riviste, scuole, incontri, delle sue premesse e del suo futuro possibile, discuteranno autori e storici della grafica.-
A distanza di circa vent’anni, ci troviamo quindi a riprendere discorsi già avviati, a cercar di risolvere problemi ormai assodati e di raggiungere obbiettivi ancora all’orizzonte. Quali fattori hanno fatto sì che non ci sia stato, da allora, un cambiamento rilevante, un evoluzione, nel mondo della grafica Italiana? Dove cercare le radici delle problematiche che riscontriamo oggi nella comunicazione visiva? Ripercorrendo la storia degli ultimi quarant’anni della grafica italiana veniamo a conoscenza della funzione che svolgeva, il ruolo che aveva nella società e la sua visione. Dovremmo far tesoro delle nozioni e le produzioni ereditate dai progettisti italiani del passato, e sentirci ispirati e spinti a continuare queste ricerche con lo scopo di raggiungere metodologie risolutive e diffondere proposte che sopperiscano alle necessità contemporanee. È possibile riprendere queste argomentazioni e portarle avanti, dare un seguito a quanto si proponeva allora, o abbiamo perso la speranza progettuale?
Massimo Dolcini, poster per il comune di Pesaro (1977, 1980)
Nessun commento:
Posta un commento