Nel campo delle scienze della comunicazione si può citare l’analisi di Bernard Miege in “La société conquise par la communication” (La società conquistata dalla comunicazione). Miege distingue quattro modelli di comunicazione a cui fa riferimento l’organizzazione di uno spazio pubblico: la stampa d’opinione (secolo XVIII), la stampa commerciale (secolo XIX), i mezzi di comunicazione di massa (secolo XX) e le relazioni pubbliche generalizzate (dagli anni ‘70 del XX secolo).
I mezzi di comunicazione di massa hanno ampliato apparentemente, ma ridotto sostanzialmente gli ambiti dello spazio pubblico, che non è più il luogo dell’argomentazione pubblica, ma l’occasione per pubblicizzare il privato. I discorsi hanno un tono perentorio di difesa delle proprie opinioni, di legittimazione del proprio comportamento e non indirizzati alla persuasione dell’avversario. Sono una confusa sovrapposizione di monologhi. Se non si ha interesse a promuovere la discussione pubblica, le opinioni si sovrappongono senza confrontarsi mai, la dimensione pubblica perde la sua funzione mediatrice, l’opinione pubblica si riduce a sondaggi d’opinione.
Per Habermas, lo spazio pubblico governato dalla ragione rischia il declino, poiché la pubblicità critica lascerà il posto ad una pubblicità di manipolazione, al servizio di interessi privati.
La comunicazione è ridotta ad una serie di “riti di acclamazione”, lo spazio pubblico si limita ad essere palcoscenico mettendo in scena un evento e perde la sua natura originaria di luogo nel quale si formano le opinioni. Con l’arrivo di internet e l’affermazione dell’economia globalizzata, si assiste ad un nuovo complesso fenomeno di informazione e conoscenza, che supera i confini nazionali e ridefinisce i termini dello spazio pubblico. Il web può definirsi la nuova agorà dove è teoricamente garantito, attraverso i social media, il libero accesso a tutti, dove si può esprimere opinioni, aprire blog, forum, chat, ecc.
Le diseguaglianze sociali, economiche, geopolitiche, escludono una parte consistente della popolazione mondiale, causa l’inaccessibilità di questa fonte di conoscenza e scambio.
Questo divario si definisce digital divide.
Nelle città che analizzo, stanno emergendo movimenti culturali che promuovono, attraverso strumenti (open source) e luoghi (piazze telematiche), la riconquista di una dimensione pubblica, libera, non discriminante e democratica.
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